La memoria popolare è uno strumento di trasmissione, di conoscenze e aneddoti che sono utili per ricordarci quanto importante sia la storia, non solo quella con la “S” maiuscola raccontata nei libri ma anche, e soprattutto nel nostro caso, la storia degli abitanti di un piccolo paese come può essere Brattirò. Le memorie tramandate nel tempo dai vecchietti che raccontano le loro, ormai sfumate, avventure di quando sono stati ragazzi sono un forte mezzo di aggregazione e di creazione di una memoria collettiva che entra a far parte della vita di chi quelle avventure non le ha vissute.
Quella di Francesco Rombolà, da tutti conosciuto come "Zio Cicco" è una di queste memorie.
Il caro Zio Cicco, figura ancora molto viva nei ricordi di chi tuttora abita Contrada Spaccio (a Brattirò), raccontava spesso di tutto quello che succede nel fantastico mondo delle api e di come lui stesso decise da bambino di dedicarsi al mondo dell'Apicoltura.
Nel suo narrare vi era la magia della scoperta ed era facile, attraverso la potenza dei suoi ricordi, immaginarlo giovanissimo e scalzo, come era solito alla fine degli anni ’20 (del secolo scorso), infilarsi nei rovi sulle sponde della fiumara di Brattirò per raggiungere l’alveare che aveva intravisto da lontano su di una grande quercia, arrampicarsi dopo aver legato a protezione del viso soltanto un fazzoletto e immaginare di vederlo tornare a casa dalla mamma, tutto gonfio e arrossato a causa delle punture, con in mano un pezzettino di cera con dentro il miele. Nel dopoguerra dopo aver acquistato per corrispondenza il suo primo alveare, dal giornalino L’apicoltore Moderno , al quale si era da poco abbonato, cominciò la sua prima piccola produzione domestica di miele, e come era prevedibile la prima famiglia di api ne generò altre ed altre ancora fino a che gli alveari negli anni aumentarono fino a garantire una piccola fornitura alle botteghe non solo del comune ma anche di Tropea e dei dintorni.
Alla fine degli anni ’90 la raccolta del miele aveva generato un piccolo commercio locale e le tecniche e i segreti dell’apicoltura che Zio Cicco aveva acquisito con il passare degli anni diventarono un tesoro prezioso.
Gli piaceva tanto parlare delle sue amate api e raccontava che le api ricavano il miele dal nettare e dalle sostanze zuccherine raccolte sulle piante, che in un secondo tempo arricchiscono con sostanze provenienti dal loro corpo, trasformandole e depositandole nei favi, dentro ai quali dopo un’opportuna maturazione danno origine al prodotto finito.
I periodi della raccolta sono a primavera inoltrata e anche all'inizio dell'estate, quando le fioriture sono al loro massimo e le api hanno abbondanza di nettare e quindi di cibo, così non si incorre nel pericolo di lasciare denutrito l’alveare indebolendolo. Una parte dell’alveare rimane comunque sempre piena, si tende a portare via solo i "melari", dei moduli che si trovano nella parte superiore dell'alveare stesso con dentro i telaini di cera riempiti di miele che le stesse api producono in eccedenza rispetto al loro fabbisogno.
Dopo la raccolta per procedere all’ estrazione del miele dai telaini si seguono dei semplici procedimenti che vanno però seguiti con cura minuziosa. Il primo tra questi è la Disopercolatura che consiste, dopo aver estratto il telaino dal melaio, nel levare delicatamente lo strato di cera con cui le api chiudono e sigillano i favi presenti sul telaino stesso. Si procede poi con la Centrifugazione, una volta disopercolati i telaini vengono messi in un cosidetto "smielatore", che altro non è che una centrifuga in acciaio inox, e fatti girare ad una velocità che aumenta gradualmente, così che il miele fuoriesce dai favi grazie alla forza centrifuga, depositandosi nel fondo dello smielatore che a sua volta ha un canale di uscita attraverso un rubinetto che arriva al secchio di raccolta. Dopo tale processo abbiamo la Decantazione che consiste nel far riposare il miele in grandi contenitori di acciaio inox allo scopo di fare emergere in superficie in modo naturale le piccole impurità ancora presenti nel miele. Trascorse circa due-tre settimane il miele si può invasettare.
Il "colpo di stato" e la sciamatura.
Difficile perdere uno sciame se non per un qualche problema dovuto ad un parassita o ad un qualche batterio, le api non lasciano mai la loro casa. Tuttavia accade tutti gli anni che un piccolo gruppo di api operaie all’interno della comunità, di nascosto alleva una nuova ape regina, solitamente negli angoli più celati dell’alveare, dove nessuno se ne accorge.
Zio Cicco molte volte nel giusto periodo apriva con delicatezza l’arnia per vedere il favo segreto della futura antagonista della regina. Gli piaceva raccontare che una volta nata, la giovane Ape viene scortata dai fedeli, che si sono presi cura di lei fin dalla nascita, fino all’Ape Regina dominante e qui si sfidano combattendo l’una contro l’altra.
L’ape che riesce a conquistare la vittoria rimane regina incontrastata dell’alveare, la perdente, se ancora viva, deve lasciare subito la comunità con tutti quelli che decidono di seguirla. Da qui la sciamatura, appunto quel piccolo nucleo di api che si vede volare nelle giornate di sole in primavera in cerca di riparo dal sole, un nugolo di api più o meno grande in base a quale partito ha dovuto abbandonare la casetta di legno.
Questi sciami appena escono cercano subito un appoggio comodo e ben riparato solitamente nei pressi dell’alveare stesso e per questo Zio Cicco metteva in questo periodo delle fascette di viti secche, legate ai rami degli alberi bassi, con dei ganci di fil di ferro, avendo cura di posizionarli bene all'ombra, così che quando il nugolo di api si poggiava su queste per trovar un momentaneo sollievo prima di avventurarsi alla ricerca di una nuova abitazione, lui potesse con facilità sganciare le fascette di viti, e con delicatezza portare le api sopra all’alveare vuoto precedentemente posizionato nei pressi, una scossa leggerissima ma decisa per farle scivolare senza traumi all'interno e ... voilà, il problema della nuova casa era risolto.
L’alveare, come Zio Cicco raccontava, prima del popolamento, deve essere sempre cosparso con succo di limone, che piace molto alle api, tranquillizzandole e aiutandole così a familiarizzare meglio con il nuovo ambiente. In seguito, dopo che le api sono state messe nel nuovo rifugio, viene chiuso il coperchio e diventano una nuova famiglia della numerosa colonia.
Purtroppo, col passare degli anni però, il numero di api nelle nostre campagne è diminuito, principalmente per colpa di un acaro chiamato varroa, un parassita esterno che attacca i nostri laboriosi insetti e che si può riprodurre solamente in una colonia di api mellifere. Si attacca al corpo dell'ape e la indebolisce succhiandone l’emolinfa e, se l’uomo non interviene, lo fa fino alla distruzione dell’intero alveare. Oltre a questo anche molti diserbanti usati oggi nelle nostre campagne fanno la loro parte.
Sicuramente le caratteristiche principali di questo fantastico miele naturale, oltre alla genuinità e al sapore sono l'efficienza nel trattamento degli stati influenzali, aiuta a placare la tosse perché è un buon antibatterico naturale. Questo naturalmente lo sappiamo perché in inverno viene utilizzato durante il periodo dei malanni, nel latte caldo per alleviare il fastidio dei raffreddori e dei mal di gola. Solitamente si usa perfino come un farmaco, per lenire il dolore provocato dalle piccole scottature, lo si spalma infatti sulla parte e si recepisce subito un immediato sollievo.
Grazie ai racconti di persone di altri tempi, come Zio Cicco, siamo capaci di apprezzare i doni che la natura ci regala e verso la quale non saremo mai abbastanza riconoscenti come invece lo sono state in passato la persone che nella natura ci vivevano.
Grazie Zio Cicco per tutte le storie avventurose che ci hai raccontato!
Photo by Patrick Pellegrini on Unsplash - Un ringraziamento particolare ad Antonio Misiti